Nel labirinto dell’identità

by Laura De Marco

Nel labirinto dell’identità

Ramya di Petra Stavast è un lavoro, delicato ma al tempo stesso profondo, che ti entra dentro un poco alla volta. Non si fa amare a prima vista, ma richiede dedizione: la stessa che la Stavast ha avuto nel seguire e tentare di ricostruire, per un periodo lungo tredici anni, le trame della vita di una donna di trent’anni più grande di lei, incontrata per una di quelle circostanze costruite apposta dal caso. Eventi quasi di routine nella vita di una persona, come trasferirsi in una nuova città, che rappresentano occasioni di trasformazione e di crescita, tappe fondamentali di vita. 

Tutto ha inizio nel 2001, quando Petra affitta ad Amsterdam una camera nell’appartamento di una donna di nome Anneke, meglio nota come Ramya. Subito, l’artista inizia, col permesso della padrona di casa, a fotografare gli ambienti di quell’abitazione particolare e luminosa, avvicinandosi piano piano alla figura della sua sfuggente proprietaria. Ramya è assente per lunghi periodi e anche quando convive con Petra la sua presenza è poco convenzionale. Con non poca riluttanza da parte di Ramya, Petra inizia sessioni di ritratti che col passare del tempo risulteranno decisive per avvicinare le due donne. Nasce così un’amicizia che durerà per oltre dieci anni, sino al 2012, anno della morte di Ramya ma non della fine della storia. È allora, infatti, che Petra Stavast entra in possesso di un corpo di immagini, storie e testimonianze, che diventeranno parte integrante della sua opera finale.

Ramya nasce nel 2014 nella veste di libro e diventa poi anche una mostra, che approfondisce il lavoro con l’utilizzo di altri materiali, come il video. All’apparenza una mera ricostruzione di fatti ed eventi, il lavoro rivela la sua vera natura ad un’analisi più profonda: quella di una storia d’amore, su diversi livelli. Il più evidente, sicuramente, quello di un’amicizia inconsueta fra le due donne che spinge la Stavast a decidere di rendere immortale l’esistenza di Ramya dandole il ruolo di protagonista di un lavoro artistico. Il più profondo, quello dell’amore incondizionato di Ramya per la vita, rappresentato dalla costante ricerca della propria identità e del senso da attribuire alle scelte che si compiono ogni giorno e che influenzano il cammino della vita.

All’osservatore di Ramya viene chiesto di entrare in un mondo fatto di sguardi ripetuti su gesti minimi e inconsapevoli, di tracce stratificate lungo il corso del tempo, di indizi che sembrano non portare da nessuna parte e di tasselli che potrebbero non essere sufficienti a ricostruire la complessità del puzzle che si ha di fronte.

Per capire Ramya non importa ricostruire una cronologia precisa della sua vita, ma piuttosto lasciarsi guidare dall’andamento delle linee temporali che si intersecano alla ricerca di una risposta, di una espressione, di un gesto o di un dettaglio che possa accrescere la nostra conoscenza.

Ramya è il tentativo di ricostruire la poliedricità della vita di una persona.

Attraverso un intrico di immagini di diversa origine e natura, di testi e appunti recuperati e di testimonianze di persone vicine alla protagonista. Si guarda a una vita vissuta intensamente, che diverse persone hanno cercato di comprendere, ma che molto probabilmente fino alla  fine è rimasta intrinsecamente imprigionata nella mente della sua protagonista.

È realmente possibile ricostruire l’identità di una persona? E qual è il senso ultimo di una tale operazione? Ramya si svela essere una ricerca dell’identità “alla seconda”: Petra cerca Ramya e attraverso Ramya noi finiamo col cercare noi stessi. O meglio, guardandoci allo specchio ci ritroviamo nudi di fronte alle infinte possibilità di definizione del nostro “io” e delle sue molteplici sfaccettature. Attraverso Ramya ci ricordiamo come ciascuno di noi ogni giorno si impegna a costruire la propria identità, probabilmente non come lei che va a vivere nella comunità di un guru indiano e frequenta corsi di “auto aiuto”, ma in modi che sono molto simili a questi, se non nell’apparenza sicuramente nella sostanza.

La vita di Ramya appare ai nostri occhi come inusuale, ma quanto lo è realmente? Forse la protagonista del lavoro della Stavast ha semplicemente cercato in modi diversi di trovare una via per dare risposta alle domande che tutti ci poniamo.

La sensibilità della Stavast sta nell’essere in grado di mettere insieme i diversi filoni della vita di Ramya (l’intimità, la spiritualità, i problemi interpersonali), senza alcuna pretesa di esaustività o di ricostruzione puntuale di fatti e, soprattutto, senza giudizio. Stavast lascia a noi la possibilità di decidere se volere entrare nel labirinto di questa storia, ci lascia liberi di districarci all’interno delle maglie del racconto, o di rimanerci definitivamente incastrati. Un po’ come è capitato a lei, che ha visto la sua fascinazione iniziale verso questa misteriosa donna trasformarsi in una vera ossessione, e anche in questo caso la lettura del lavoro di Petra Stavast andrebbe fatta a un doppio livello: esiste l’ossessione di Stavast verso Ramya ed esistono le ossessioni di Ramya verso la vita. Entrambe diventano nostre e non c’è mai mero voyeurismo in quesa operazione ma riconoscimento, in quelle della sua protagonista, delle proprie fragilità.

Ramya tesse le complicate trame di una relazione tra fotografo e fotografato e ci pone interrogativi sull’identità, sulla vita, sull’osservazione.

Cercare l’identità di Ramya è cercare la nostra, nelle sue sfaccettature e complessità, alla perenne ricerca di chi siamo e di cosa facciamo, del perché siamo qui.

Ramya in fondo potrebbe essere ognuno di noi.

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